Il difficile mestiere del traduttore

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In Berlin, 2010
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with my sister Francesca and Sonohra
Sito web di Marta Immorlano, Dottoressa in lingue e mediazione culturale-linguistica e già perito aziendale e corrispondente in lingue estere.Read More...

Marta Immorlano

Die Grenzen meiner Sprache bedeuten die Grenzen meiner Welt (L. Wittgenstein)

Il difficile mestiere del traduttore, cosa ci ha insegnato Umberto Eco


Nell’immaginario comune, la parola “arte” viene quasi istintivamente associata a discipline come pittura, scultura, architettura. L’accezione più estesa del termine vedrebbe confluire in sé molteplici espressioni artistiche, come la fotografia, la danza, il cinema, il teatro. Eppure, esiste una forma d’arte millenaria e raffinata, che tende ancora oggi a passare in secondo piano, ma che costituisce un mezzo imprescindibile di diffusione del mezzo scritto da un sistema linguistico a un altro: la traduzione.
Quello del traduttore è un mestiere tanto affascinante quanto arduo. Non si tratta di una semplice operazione meccanica, ma di un atto profondo e complesso di mediazione culturale, di creazione e di interpretazione. Troppo spesso si dà per scontato che basti conoscere una lingua per poter tradurre con facilità e immediatezza un testo. La traduzione, in realtà, come ci insegna Umberto Eco, non è mai una mera trasposizione di parole da una lingua all’altra, ma un lavoro certosino che implica un dialogo profondo tra lingue, culture e significati. Un’attività delicata, che non si limita a decifrare un testo, ma che lo reinventa, preservandone l’essenza e trasformandolo al tempo stesso.
Figura di spicco del panorama culturale italiano e internazionale, intellettuale poliedrico e carismatico, Eco ha trattato il ruolo del traduttore con una profondità e una meticolosità che continuano a essere fondamentali per chi si occupa di traduzione, sviscerando con sapienza le problematiche tipiche del mestiere. Attingendo alla semiotica e alla filosofia, ha messo in luce le difficoltà del tradurre e le implicazioni culturali insite in questo processo.
Nel suo celebre libro Dire quasi la stessa cosa, emergono fin da subito le contraddizioni intrinseche nelle parole che compongono il titolo. Cosa si intende per “dire”? E qual è la “cosa”? Eco spende diverse pagine nel districare questo groviglio linguistico che, come un vaso di Pandora, pone una serie di interrogativi a cascata, ai quali si propone di dare risposte costellate da esempi pratici con riferimenti a lingue diverse. La difficoltà nel definire termini apparentemente semplici come quelli appena menzionati ci pone di fronte a una realtà evidente: tradurre richiede un sapere che trascende la mera dimensione linguistica, per inglobare tutta una serie di aspetti e sfumature socioculturali specifici del testo in questione, imprescindibili per una resa ottimale dello stesso nella lingua d’arrivo.
La traduzione esige una riflessione profonda sul contesto e sull’intento dell’autore, e implica la capacità di trasmettere l’emotività e la complessità del messaggio originale, restituendolo al lettore con le dovute operazioni di decodifica e reinterpretazione, ma senza mai tradirne l'essenza.
Una delle riflessioni più interessanti di Eco riguarda il problema dell’intraducibilità. Poiché la lingua si pone come mezzo attraverso il quale interpretiamo la realtà, vi sono casi in cui il mondo percepito nella lingua di partenza non trova una corrispondenza esatta nella lingua
d’arrivo. Nonostante quella che si configurerebbe come una presunta incommensurabilità del continuum, ossia l’impossibilità di mettere a confronto il contenuto di lingue diverse, da queste suddiviso in modi differenti, si può far leva sul contesto, che ci consente di disambiguare e definire il significato di una determinata parola all’interno di un preciso ambito linguistico. Ad esempio, l’inglese indica con parole diverse – nephew/niece e grandson/granddaughter – quello che in italiano chiamiamo “nipote”, a seconda che si tratti di nipote maschio o femmina di zii o di nonni. Sarà quindi il contesto a chiarire cosa si intenda in un determinato testo per “nipote”.
Un altro esempio che Eco riporta nel suo libro riguarda la ricca differenziazione relativa alla terminologia usata dagli eschimesi per descrivere la neve, una ricchezza che, non essendo presente in altre lingue, porterà inevitabilmente a ricorrere a degli aggiustamenti per renderne il senso in un’altra lingua. Il traduttore dovrà quindi fare delle scelte rimanendo fedele all’intento dell’autore originale, quand’anche questo implichi delle rinunce in termini linguistici. Da qui il concetto di negoziazione: perdere qualcosa per acquistare qualcos’altro. È questo il principio fondante alla base del mestiere del traduttore.
Le perdite a livello testuale possono essere tuttavia compensate, ma, ricorda Eco, sarebbe opportuno resistere alla tentazione di arricchire il testo di partenza, poiché una traduzione non dovrebbe mai dire più dell’originale. Anche qui, le eventuali perdite andranno valutate caso per caso e, se necessario, negoziate di concerto con l’autore.
In altre situazioni, per poter mantenere l’effetto e l’intenzione del testo fonte, il traduttore sarà costretto a rimaneggiare il testo, ricorrendo a dei rifacimenti veri e propri. In questo caso, l’espediente del rifacimento sarà giustificato dal fine ultimo della fedeltà al testo originale.
Se tradurre è un mestiere fatto di scelte continue, vale la pena citare due tipologie di strategie traduttive prese in esame da Eco, che contribuiscono a definire l’aspetto finale che una traduzione andrà ad assumere. I due approcci, diametralmente opposti, dipenderanno dal risultato che si vorrà ottenere, non essendoci quindi una scelta giusta a priori. Nel caso dell’addomesticamento, il traduttore sceglierà di avvicinare il testo al lettore della lingua d’arrivo (traduzione target-oriented), per renderlo a questi più comprensibile; nel caso dello straniamento, al contrario, opterà per un effetto di tipo conservativo, per favorire una maggiore aderenza al testo originale (traduzione source-oriented). Un classico esempio riguarda la scelta di tradurre o meno nomi propri di luoghi o persone.
Alla luce di quelli che sono i punti tratti della lunga e approfondita disamina di Eco, potremmo affermare che, al netto delle molteplici e doverose considerazioni che metterebbero in discussione la possibilità della traduzione, questa risulta, di fatto, possibile. Sebbene, infatti, il nostro modo di interpretare il mondo che ci circonda sia frutto di un sistema semiotico che la società, la storia e la cultura hanno plasmato per noi, e che renderebbe la traduzione teoricamente impossibile, i diversi sistemi linguistici sono comunque comparabili.
In assenza di un parametro linguistico universale per la traduzione, si ricorrerà a un processo continuo di negoziazione, confrontando le lingue e negoziando – appunto – soluzioni che siano
ragionevoli e rispettose del buon senso. Affinché una traduzione possa considerarsi accettabile, sarà necessario interpretare il testo fonte, nel tentativo di ripensare il mondo così come l’autore lo aveva percepito. Le conseguenti scelte linguistiche ammetteranno una duplice possibilità in termini di strategia: orientare la traduzione verso il lettore (target-oriented o addomesticante) o verso il testo fonte (source-oriented o straniante).
Il concetto di fedeltà nelle traduzioni non è un criterio che ammette un’unica traduzione accettabile, ma un parametro fondato sulla convinzione che la traduzione sia sempre possibile, a condizione che il testo fonte sia stato interpretato con complicità, identificandone il significato profondo e negoziando le soluzioni più adeguate. Come lo stesso Eco mette in evidenza, infatti, la parola fedeltà ha come sinonimi non tanto il termine “esattezza”, quanto i termini “lealtà”, “onestà” e “rispetto”, che non sono altro che i principi guida di un buon traduttore.